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Sperimentazione e ricerca, accessibilità e inclusività: la visione sostenibile di azienda agricola secondo Ca’ Rugate. Dialogo con Michele Tessari

Sperimentazione e ricerca, accessibilità e inclusività: la visione sostenibile di azienda agricola secondo Ca’ Rugate. Dialogo con Michele Tessari
Vinitaly
27 gennaio 2023

Abbiamo trascorso una parte di una soleggiata mattina insieme a Michele Tessari, proprietario insieme alla famiglia della storica azienda Ca’ Rugate, nel cuore della Val d’Alpone, una valle veronese al confine con Vicenza.
A caratterizzare la persona e l’essere imprenditore di Michele non è solo la lungimiranza, ma il valore che dà alle decisioni da prendere per la sua azienda. Generalmente, quando ci si trova di fronte alle decisioni, si tende a concentrarsi sull’eventualità negativa che quella decisione comporta. E questo diventa paralizzante il più delle volte. Michele ha un approccio diverso, volto alla sperimentazione finalizzata alla crescita, proprio grazie alle decisioni prese. Quindi, se dovessimo descrivere in una parola Michele Tessari, useremmo il termine depositario o difensore, suo sinonimo, ma più forte.

La storia del tesoro che custodisce inizia da lontano, ha radici vere e profonde che affondano, letteralmente, quando il bisnonno Amedeo decide di piantare le prime viti a Ca’ Rugate, la casa sulle colline di Rugate, a Monteforte d’Alpone. Il vino che produce viene venduto sfuso, fino a che il primo conflitto mondiale si porta via Amedeo troppo in fretta. Poi arriva Fulvio, nonno di Michele, che fin da giovanissimo ha assunto il ruolo di capofamiglia, facendo un patto con sua madre per diventare contadino e proseguire con lo sviluppo della produzione agricola, subito dopo l’ottenimento della licenza elementare. Alla fine degli anni Settanta le redini dell’azienda agricola vengono prese da Amedeo, padre di Michele. Tessari è un cognome molto diffuso in questo territorio e chiamare un’azienda con il cognome avrebbe comportato confusione. Decidere di utilizzare il naming è un’operazione di assoluta lungimiranza in un momento in cui il concetto di comunicazione di brand era ancora lontano. Così, a memoria delle prime viti piantate dal bisnonno ai primi del Novecento, viene fondata Ca’ Rugate. Nel 1986 la Cantina apre ai mercati internazionali e nel 1988 le bottiglie Ca’ Rugate vengono vestite con la prima etichetta. Si arriva così fino a Michele, con cui stiamo dialogando della filosofia sostenibile a tutto tondo con cui la famiglia Tessari e i suoi collaboratori conducono l’azienda, e di progetti futuri. Una vera stirpe di viticoltori, vocati alla causa della ricerca di una qualità assoluta.

I tratti distintivi di Cà Rugate, un’azienda unica in un territorio unico


Parlavamo di scelte. Gli anni 2000 sono stati caratterizzati da scelte importanti per la nuova azienda a Montecchia, una grande arteria comunicativa tra Verona e Vicenza, un territorio vocato e strategico. È qui che è iniziato il progetto di esaltazione del processo produttivo, dall’appassimento, alla pigiatura, all’imbottigliamento, in uno sviluppo incessante di crescita tumultuosa dell’azienda, con un approccio innovativo al lavoro.

Credo moltissimo nel valore della professionalità e nella consulenza. L’imprenditore deve delegare e costruire i talenti, portatori di esperienza e contaminazione. Allo stesso modo, i collaboratori non devono portare a casa solo una remunerazione, ma la soddisfazione del senso di appartenenza all’azienda. Grazie a questo approccio alle Risorse Umane e alle scelte di conversione al biologico che conta 90 ettari, siamo una delle aziende agricole con un parco vitato fra i più strutturati della provincia di Verona. Non pratichiamo una viticoltura di volume, ma di valore. Ecco il tratto distintivo che vogliamo comunicare.

Abbiamo l’immensa fortuna di abitare un paese che si differenzia di ettaro in ettaro. Come può un’azienda agricola differenziarsi con forza rispetto al vicino?


L’identità è la forza. Per essere insostituibili è necessario dare valore alle eccellenze, senza compromessi. Abbiamo scelto di continuare a produrre anche vini in piccola tiratura come il Corte Durlo Vin Santo di Brognoligo. Lo facciamo perché abbiamo raccolto un testimone della storia enologica d’Italia, in uno dei territori a più alta densità viticola d’Italia, dove le viti coprono il territorio al 90%.E’ qui che è nata quella viticoltura che ha fatto della regione Veneto una grande trazione viticola. Perciò le produzioni di nicchia, sartoriali e fortemente identitarie possono costituire la corsia preferenziale per distinguerci sui mercati. Produciamo anche spumanti, i cui vigneti si trovano a 600 metri di altitudine, in un fazzoletto di terra a Brenton dove la viticoltura è davvero eroica. Anche la viticoltura di montagna è identitaria di Ca’ Rugate perché negli anni abbiamo scelto di assumere dei fattori di rischio non convenzionali, come la produzione sull’alta collina di Montecchia, di Roncà e di Monteforte. Con il cambiamento climatico, le nostre viti performano meglio, perché l’altitudine non convenzionale consente una grande performance.

Siamo fortunati? Può essere, ma è la sperimentazione a dare valore ad un’azienda che non si accontenta, che sa osare, che ha visione di continuo movimento. Questa, per Ca’ Rugate, è il fattore distintivo dell’identità aziendale.

Ci fai qualche esempio di sperimentazione?


Il Bucciato Soave Classico Superiore è un vino senza tempo. Oggi lo definiremmo orange per la macerazione della Garganega sulle bucce. Al tempo non era in voga. La sua produzione si è interrotta quando abbiamo notato che l’affinamento in legno non gli rendeva giustizia. Così, l’abbiamo sospeso per qualche anno, fino a che non abbiamo sperimentato la produzione in contenitori di ceramica, con cui abbiamo raggiunto l’equilibrio di una grande bevibilità. È stato un percorso di sperimentazioni e prove, per capire quali miglioramenti potessimo portare in una pratica tradizionale. Nel mentre, abbiamo capito che la macerazione sulle bucce, se ovattata dall’affinamento in legno, diventa monocorde. Andando a cercare contenitori diversi, abbiamo trovato la bevibilità, l’esaltazione di tutte quelle caratteristiche del vino, perfettamente comprensibili in degustazione.

Sono state fatte altre sperimentazioni su un altro nostro vino iconico, lo Studio, un bianco igt, dapprima con un 20% Trebbiano di Soave, fino ad arrivare al 100%. Per anni abbiamo utilizzato la Garganega in blend con il Trebbiano, e ora utilizziamo solo Trebbiano perché abbiamo compreso che in autonomia, ovvero in purezza, il Trebbiano può dare risultati importanti.

La cosa più importante che impariamo dallo sperimentare è che non c’è mai una ricetta per lavorare nel modo corretto. Ci sono i percorsi di crescita, studio, esplorazione e non bisogna fermarsi mai. Questo è il nostro mantra.

A proposito di percorsi: quando avete cominciato la produzione di vini biologici e cosa li distingue dai vini convenzionali?


Abbiamo cominciato un percorso di conversione al biologico nel 2017. Tardi rispetto alla media, ma abbiamo voluto raggiungere la consapevolezza che il territorio potesse esprimere qualità biologica. Volevamo essere certi che le nostre vigne in questi luoghi fossero in grado di interagire con la viticoltura organica senza andare in sofferenza, senza il rischio di consegnare un vigneto all’obsolescenza vegetativa. Non tutte le zone danno la possibilità di esprimersi al massimo attraverso un determinato tipo di coltivazione, e in questi casi è meglio restare convenzionali. Per esempio, certe malattie non possono essere contrastate in condizioni di regime biologico. Abbiamo fatto anni di prove incessanti dal 2010 al 2017, abbiamo educato i collaboratori e siamo arrivati ad una conclusione consapevole: all’inizio del percorso, la nostra macchina operativa era perfetta, siamo un’azienda total green su 90 ettari, i mercati internazionali sono maturi, lo erano già prima e ora lo sono ancora di più. L’organic è un prerequisito in certi paesi come in Nord Europa e in Nord America. Siamo pronti e in grado di restare fedeli alla nostra identità perché l’età delle nostre vigne è garanzia di una qualità assoluta. Anche il mercato italiano risponde, anche se essere bio non è ancora un prerequisito per convincere un mercato che vede il bio positivamente ma che non lo considera un plus. Bisogna inoltre comunicarne di più il valore dei costi di produzione perché il consumatore italiano non si è ancora posto la domanda “sono disposto a spendere di più per acquistare un vino biologico?” la maggior parte delle persone non sa che i costi di gestione della collina sono molto più alti rispetto alla viticoltura tradizionale, tanto più quanto la coltivazione in questi areali è biologica.

Qual è la generazione che vi dà più soddisfazione relativamente al consumo di vino biologico?


I Millennials perché è la generazione più curiosa. Viviamo in un mondo in cui è tutto alla portata, dove tutto è liquido e dove sappiamo tutto in tempi rapidi. La curiosità è delle persone che hanno una lettura scevra da pregiudizi. 15.000 persone all’anno visitano la cantina e questo è un ottimo banco di studio dei consumatori che frequentano la nostra ospitalità. Abbiamo notato che i Millennials sono attratti dalla novità e creano un dialogo empatico con i nostri collaboratori che li accompagnano nella visita, attraverso il racconto dei temi di sostenibilità e di produzione del biologico. Penso che sia questo il target più pronto alla comprensione del vino biologico, perché predisposto più di tutti gli altri.

Qual è il futuro dell’hospitality secondo la visione strategica di Ca’ Rugate?


Prima di tutto, l’approccio: noi ci impegniamo ogni giorno ad essere fruibili sempre. L’ospitalità in cantina è un tema importantissimo che prevede che l’azienda sia ospitale nei confronti di chi ci vuole visitare. Questo significa essere aperti durante il tempo libero delle persone, quindi il sabato e la domenica, non solo durante la settimana quando la maggior parte delle persone lavora. Quindi, il futuro è l’ hospitality, insieme al green e al digitale. Sul sito della cantina c’è la possibilità di creare interazione con il visitatore, proponendo esperienze che coinvolgano anche il territorio per creare sinergie e dare risalto a peculiarità uniche. La strategia è fare squadra con il tessuto economico locale. A questo proposito, noi abbiamo scelto di non aggiungere un comparto ristorativo all’interno della cantina perché vogliamo creare sinergia con i nostri clienti che già offrono questo servizio, creando forti partnership. Un altro punto importante è il percepito del vino all’interno delle carte dei vini. È urgente che il consumatore abbia una percezione più alta del vino perché sia rappresentativo di un territorio, solo così si ha la consapevolezza del valore. Il volume di produzione è un fattore solo speculativo. Sono fiducioso che con i ristoratori si possa crescere insieme, senza alcuna forma di concorrenza: la nostra filosofia è entrare in interazione, non in competizione. Anche questo significa essere un’azienda dinamica e ospitale.

Ci sono novità che volete raccontare ai lettori di Vinitaly Plus?


Si, ci sono diverse novità in arrivo. Vi anticipo la creazione di una fattoria sociale. Ca’ Rugate è un’azienda agricola che dà valore alle persone e alla storia. Abbiamo un museo di interesse regionale all’interno della cantina, attività didattiche periodiche con gli istituti comprensivi del territorio e la fattoria sociale vuole essere un progetto finalizzato al racconto della storia di un’azienda in salute. Vogliamo trasmettere gioia alle persone aldilà della competenza in ambito agricolo- produttivo. Siamo già attivi sul sociale con una collaborazione con la cooperativa sociale Monteverde.

Dal punto di vista enologico, ci sono diverse novità, due in particolare: un Amarone riserva, prodotto con uve che si trovano sull’alta collina di Monte di Sant’Ambrogio della Valpolicella e un Lessini Durello riserva, con dégorgement a 130 mesi.

Quali sono, secondo Ca’ Rugate, le azioni di comunicazione più efficaci per la promozione delle eccellenze enologiche italiane all’estero?


Torniamo al concetto di identità. La strategia di capillarizzazione distributiva all’estero fa branding perché si è brand quando si è reperibili sui mercati internazionali. Il brand è ormai sinonimo di valore. È opportuno attivare tutti gli strumenti possibili che esistono: azioni B2B, partecipazione alle fiere e agli eventi di settore che sono strumenti fondamentali per comunicare il Made in Italy al meglio. Noi crediamo molto nella formazione dei nostri ambasciatori che ci portano fuori confine e che fanno comprendere alle persone l’importanza del territorio in cui siamo. A questo proposito, abbiamo realizzato delle mappe in 3d della Valpolicella e del Soave, utilizzate anche dai nostri ambasciatori. La geografia è una leva comunicativa importante per facilitare la conoscenza di un territorio, quindi del vino che viene prodotto. La comunicazione deve essere facile perché faciliti la conoscenza del brand. La conoscenza implica sforzi sia mentali che economici e investire è importante per facilitare la comunicazione, quindi la conoscenza.

Quella di Cà Rugate è una bellissima storia, partita in un passato relativamente recente, e in continuo divenire.

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